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Consapevolezza

Aveva un'espressione compiaciuta e soddisfatta, se non addirittura trionfante.
Era bello poter vedere quel sorriso così malizioso e sottilmente arrogante, e la consapevolezza che aveva di me e di se stessa.
Ero teso, fremevo, tra l'angoscia e il desiderio, pervaso dall'implicita sudditanza con cui mi offrivo e attendevo.
Lei sedeva mollemente, perfettamente a suo agio. Le gambe accavallate, il piede che dondolava e scandiva il ritmo dei miei pensieri.
Attesi tra l'ansia e l'eccitazione, finché non sollevò i piedi e li incrociò sulle mie gambe.
Era un gesto semplice, innocente, comune. Poteva passare inosservato, ma io sentivo l'emozione attorcigliarmi le viscere e il volto in fiamme, paonazzo.
Erano così vicini alle mie labbra, i suoi piedi... Potevo sentire l'odore delle scarpe e le sarebbe bastato schioccare le dita per farmele baciare. Oppure, quel bacio avrebbe potuto prenderlo lei stessa, limitandosi a muovere il piede e coprire la breve distanza che lo separava dalla mia bocca.
Dal fare pigro e indolente con cui sedeva e mi osservava, con le gambe distese in quel modo, mi pareva di giacere prostrato, di stare sotto di lei come un cane accucciato ai piedi della propria Padrona.
"Sei talmente remissivo... É difficile resistere al desiderio di dominarti", disse, con aria sorniona, alimentando il mio imbarazzo.
Era la prima volta che una donna usava quel termine, remissivo, non per criticarmi, ma per la voluttà del desiderio che suscitavo in lei.
Temevo potesse umiliarmi, che potesse indurmi a baciarle e leccarle le scarpe, incurante di coloro che avrebbero assistito. Lo temevo, sì, eppure mi sentivo eccitato, sopraffatto dalla voglia di essere sottomesso, di contemplare la sua bellezza, mentre godeva della mia prostrazione senza alcun ritegno, senza temere di abusarne.
Desideravo sentirmi suo, sentire che ero il suo schiavo, che lei volesse che lo fossi, che doveva essere necessariamente così, che era giusto, ovvio, naturale.
"Gli ometti in cui m'imbatto di solito, sbavano e sono pronti a tutto per la scollatura del mio seno. A te, invece, sono certa che basti annusarmi i piedi per perdere il controllo. Lo trovo divertente, piacevole, appropriato. Tutti gli uomini dovrebbero agire così, essere come cagnolini educati e scodinzolanti, ai piedi delle donne", sentenziò prima di scoppiare a ridere.
"Oh, sì... Mi piace! Quel pensiero ti eccita. Vorresti che io ti trattassi così, come un cane. Muori dalla voglia che io lo faccia", aggiunse.
Sollevò i piedi ed io sussultai, immaginandoli già sul mio volto. Invece li allontanò e sorrise dello smarrimento con cui seguii il loro tragitto fino al suolo.
"Questo giro di birre tocca a me", disse e mi porse i soldi necessari per comprarle.
Obbedii ed entrai nel bar, dove i clienti bevevano con lo sguardo fisso sullo schermo dove scorrevano le immagini della partita di calcio. Immaginai che, se Marica mi avesse spinto a leccarle le scarpe, nessuno se ne sarebbe accorto.
Le mie fantasie di sottomissione e adorazione, erano solitamente rivolte ai piedi nudi, al piacere di sentire il loro odore, il sapore. Ciò nonostante, l'idea di baciare e leccare le scarpe, in quel momento, mi aveva sedotto e vinto, al punto che appagare questo desiderio, che neanche immaginavo di avere, mi parve un'ovvia necessità.
Tornai da lei, convincendomi di dover compiere quell'atto. Gli porsi la bottiglia di birra persuaso dal bisogno di prostrarmi e baciarle la scarpa, ma lei mi prevenne, esprimendo il desiderio di cambiare scenario.
Prendemmo l'auto e, seguendo le sue indicazioni, raggiungemmo un luogo più appartato, dove solitamente si rifugiavano le coppiette.
Quando mi fermai e spensi il motore dell'auto, Marica reclinò il proprio sedile e si mise comoda, allungando i piedi su di me, curiosa di vedere quanto folle fosse la mia fame.
Le accarezzai le caviglie. Fui titubante e mi preoccupai del modo in cui avrebbe reagito.
Le sollevai un piede e appoggiai la suola contro le mie labbra, ancora incerto su come proseguire.
Marica rimase ad osservarmi, con sempre maggiore curiosità, mostrandosi accomodante nei confronti dei miei desideri.
Baciai timidamente la suola. Lei non si scompose, continuò a studiarmi con soddisfazione ed io proseguii con nuovi baci. Lasciai la mia lingua libera di prodigarsi e leccare la superfice della suola. Con voluttà, succhiai il tacco e mi sorpresi del piacere con cui Marica accolse quegli atti.
Più lei si mostrava compiaciuta e a proprio agio nel ricevere le mie attenzioni, tanto più io mi eccitavo nel crescente fervore con cui la adoravo lucidandole le scarpe.
E quel piacere divenne ancora più intenso, quando liberai i suoi piedi e aspirai il caldo aroma delle piante.
Il nylon delle calze che indossava era umido e lo asciugai sul mio viso, premendo e sfregando i suoi piedi affinché sprigionassero quell'intensa fragranza e impregnassero la mia pelle.
Marica godeva di quel trattamento e divenne via via più partecipe, aumentando la pressione che i suoi piedi esercitavano sul mio volto.
Cominciò a emettere gemiti di piacere e le sue dita danzarono tra le mie labbra schiuse, finché l'intera punta del piede, con inaspettato vigore, s'insinuò e penetrò la mia bocca, costringendomi a spalancarla e accoglierla fin dove potevo.
Con l'altro piede scivolò sulla patta dei miei pantaloni e, una volta individuata la mia erezione, cominciò a frizionarla abilmente finché non mi sentì sussultare ed esplodere in quell'orgasmo così intimo e liberatorio da farmi provare vergogna.
"Ecco! È questo un uomo. Un cagnolino voglioso e arrapato che posso far gemere come e quando voglio. Un cane, sì, che posso divertirmi a far godere, mentre mi succhia il piede", disse Marica, forse per farmi eccitare ancora, o forse perché era proprio così che mi vedeva, così, esattamente come lei voleva.
Già in molte occasioni aveva amato illustrare e spiegarmi ciò che pensava riguardo alla natura dell'uomo, del suo essere inferiore e subordinato alla donna. Considerazioni che ben si adattavano al mio desiderio di remissione e lo esaltavano.
Mi eccitava che lei, che nulla sapeva dei miei giochi, potesse accoglierli ed esigerli, disporre della mia prostrazione come se fosse appropriata, giusta.
"Sei d'accordo con me?", chiese con insistenza, tallonandomi la fronte.
Annuii, e mi parve umiliante, più che leccarle le scarpe, dichiarare la mia inferiorità e sudditanza, in quel modo.
Era proprio ciò che Marica voleva. Dovevo ammettere di riconoscermi in quel che diceva, svilire la mia figura per celebrare la sua gloria.
E fu esattamente ciò che feci, accettando di ripetere, io stesso, i concetti che lei mi aveva esposto.
Mi eccitai. La mia mente e il mio corpo tornarono a infervorarsi sotto i suoi piedi, mentre proclamavo la mia resa incondizionata e la necessità, come uomo, di essere il suo cane.
"Molto bene. Il maschio è solitamente arrogante e presuntuoso. Si sottomette comunque, non può fare diversamente, ma è necessario raggirarlo, ingannarlo. Tu, invece, sei consapevole della tua natura. Questo ti rende un uomo raro e prezioso. E sono certa che, se ben addestrato, saprai rivelarti estremamente utile e piacevole", concluse Marica, mentre le sfilavo le calze, ansioso di poterla sollazzare, leccandole i piedi.

 

 

© Charmel Roses

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