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L'educazione sentimentale del maschio

FemDom Art

Mi accolse e mi trattò come se fossi un cucciolo da accudire ed educare.
I suoi modi erano estremamente dolci, ma pur sempre perentori.
Alla gentilezza con cui impartiva gli ordini, si accompagnava un fare deciso che mi lasciava intendere che non potevo disobbedire e che poco sarebbe bastato, per scoprire quanto potesse essere severa la mia Signora.
E che motivo avevo, poi, per disobbedirle? I miei servigi apparivano ovvi, al punto che mi sarei stupito del contrario. Al suo cospetto, ero fermamente convinto e persuaso, che fosse naturale stare in ginocchio, prodigarsi per soddisfare ogni sua richiesta, per potere infine godere, del piacere di adorarla, del privilegio che lei mi concedeva, lasciando che mi prostrassi a baciarle i piedi.
"L'educazione prima di tutto", diceva ed io mi chinavo e le baciavo la mano.
Allo stesso modo, poi, mi inginocchiavo e le rendevo omaggio baciando il suolo e la punta delle sue scarpe.
I riti erano fondamentali, esigeva che li compissi con precisione, fin nei minimi dettagli.
Le piaceva che fossero complessi, a tratti ridondanti, che rimarcassero, ripetutamente, la mia condizione subalterna e servile.
"Bentornata, mia Signora. A lungo il Vostro servo ha atteso di poter udire i Vostri passi. Con gioia e commozione, rendo omaggio al Vostro ritorno e attendo e imploro il privilegio di poterVi offrire i miei servigi. Possa essere io la terra che giace nel solco dei Vostri passi, possa la mia lingua, umile e devota, lavare e sollazzare i Vostri graziosi piedi. Sia il mio volto il cuscino, il comodo e confortevole appoggio, su cui riposano e regnano le Vostre meravigliose piante".
Così, recitavo il mio saluto, e attendevo che lei calcasse il mio capo e disponesse di me, come suo suddito e schiavo.
I suoi tacchi percorrevano il mio corpo e poi tornavano a intonare la propria melodia sul suolo.
Io, allora, strisciavo carponi dietro di lei e raccoglievo con un bacio, ogni singola nota di quella sinfonia.
"Un vero uomo, deve sapere come comportarsi, in presenza di una Signora. Ed è questo che farò di te: un uomo degno di appartenermi e di servirmi", le piaceva ripetermi, mentre godeva dei miei atti di sottomissione.
Mi eccitava ascoltare i suoi discorsi, farmi avvolgere e incantare da quel mondo fatto di regole, in cui l'uomo era relegato al ruolo di compiacente servo della Donna.
Ascoltavo i racconti della mia Signora e gioivo di poter essere l'eletto, il prescelto cui lei aveva concesso di poter far parte del suo regno.
"Tu sei giovane e per questo puro e malleabile. Grazie a me, potrai essere plasmato ed elevare il tuo essere".
L'idea di essere plasmato, suscitava in me un'immagine dolce e prepotente. Sognavo il piede nudo della mia Signora che calzava il mio viso e lo modellava, fino a farne una comoda pantofola che lei potesse indossare.
Quando le confessai questa suggestione, lei rise soddisfatta e calcò a lungo il mio volto, come per assecondare la mia fantasia.
"Puoi esserlo, sì. Puoi essere questo e molto altro. Puoi essere tutto ciò di cui io possa aver bisogno. Puoi essere lo strumento del mio volere e del mio piacere. Questo, tu sei e sarai ancora, finché lo vorrò. Sarai mio, il mio uomo, il mio schiavo e qualsiasi altra cosa io desideri", furono le sue parole e le mie risposero silenziose, riempiendosi del suo piede, che soggiogò la sete e le voglie della mia lingua.
Sentivo di dipendere totalmente da lei, di essere pronto a subire il suo volere incondizionatamente.
La ragione della mia estrema e impetuosa duttilità, era forse dovuta al modo in cui lei, aveva saputo interpretare ogni dettaglio del mio atteggiamento.
Fin dal principio, le era apparso chiaro, che io sarei stato suo ed agì in una maniera che sarebbe potuta apparire avventata, seppur supportata da quella consapevolezza.
S'instaurò, tra di noi, un rapporto che, fin dal principio, fu incardinato sulla mia ovvia e indubitabile sottomissione nei suoi confronti. Non vi fu alcun bisogno di spiegarsi o fare allusioni, lei sapeva che ero il suo schiavo e mi trattò come tale.
In tal modo, le riuscì di sedurmi, di indurmi a una resa assoluta. Le ero grato e riconoscente per il modo in cui mi aveva preso, esattamente come avrebbe fatto con un cane.
Lei, d'altra parte, si divertiva ad immaginarmi come un animaletto domestico e la mia giovane età, suggeriva ancor di più che io fossi simile a un cagnolino che lei aveva raccattato per strada.

"Oggi ho avuto una giornata lunga ed estenuante, ho bisogno di un massaggio ai piedi", mi disse e non mi aveva mai rivolto la parola prima di allora.

La nostra conoscenza si limitava a brevi scambi di sguardi e cenni di saluto, null'altro. Eppure, lei sapeva, era sicura, che se avesse avuto bisogno di un massaggio ai piedi, avrebbe potuto chiederlo a me, finanche esigerlo.

Ero certo che nessuna, eccetto lei, avrebbe mai potuto fare una richiesta così sconcertante e farla apparire come semplice e ovvia.

Poco importava, in quel momento, che accettando di offrirmi a lei in quella condizione servile, potesse essere umiliante, a causa degli sguardi indiscreti che ci circondavano.

Direi che il concetto dell'umiliazione era del tutto assente in noi, perché della mia sottomissione, della possibilità che lei mi dava di servirla, era implicito che dovessi esserne fiero.

Come può, del resto, sentirsi umiliato un servo che adempie al proprio dovere e obbedisce agli ordini della sua Padrona?

Se anche mi avesse chiesto di lucidare con la lingua le sue scarpe, le avrei obbedito con ugual deferenza e gratitudine, così come feci allora, senza esitare.

Mi inginocchiai davanti a lei e, con aria docile e mite, la pregai di concedermi il privilegio di poter essere io a massaggiare i suoi piedi stanchi.

"Saprai essere all'altezza?", chiese.

"Farò del mio meglio per non deludervi, Signora", le risposi e chinai il capo, fin quasi a sfiorare la punta delle sue scarpe con la fronte.

Lei allora sollevò i piedi e li depose nel mio grembo, lasciando che li denudassi e li massaggiassi a lungo.

Il mondo circostante cessò di esistere, non mi accorsi più di nulla, per me c'erano solo lei e il tepore dei suoi morbidi piedi che godevano delle carezze e della delicata frizione dei miei massaggi.

Solo quando lei decise di interrompermi, realizzai che era trascorsa quasi un'ora dal momento in cui mi ero prostrato davanti a lei.

"Sei stato discretamente bravo, ma sono certa che tu possa fare di meglio, se debitamente educato", mi disse, mentre l'aiutavo a calzare le scarpe.

"Umilmente vi imploro, Signora, di volermi istruire e concedere di poter essere capace di rendere i miei servigi degni di appagare i vostri desideri".

"Perché mai dovrei farlo? Per appagare un tuo desiderio, forse?", chiese, duramente, con un sorriso beffardo.

"Per pietà, Signora, perché non vi è possibilità per me di avere un senso, se non come vostro devoto servitore, come prolungamento ed ombra del vostro volere".

"A quanto pare, nella tua giovane e piccola mente, possono germogliare pensieri saggi e profondi, più di quanto ci si aspetterebbe da un essere di sesso maschile. Posso forse premiarti per questo e renderti una persona migliore e consapevole".

 

 

© Charmel Roses

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